La sezione della CONSERVAZIONE della documentazione amministrativa è fortemente caratterizzata dalla duplice natura (analogica e digitale) della documentazione stessa.

[estratto da Linee Guida AGID – 3.5 p. 26-27]

Nel manuale di gestione documentale sono riportati, in particolare:

8. relativamente alla conservazione:

a) per le Pubbliche Amministrazioni il piano di conservazione è allegato al manuale di gestione documentale, con l’indicazione dei tempi entro i quali le diverse tipologie di oggetti digitali devono essere trasferite in conservazione ed eventualmente scartate;

b) per i soggetti diversi dalle Pubbliche Amministrazioni che sono sprovvisti di piano di conservazione, qualora si renda necessario redigere un Manuale di gestione per la complessità della struttura organizzativa e della documentazione prodotta, dovrebbero essere definiti i criteri di organizzazione dell’archivio, di selezione periodica e di conservazione dei documenti, ivi compresi i tempi entro i quali le diverse tipologie di oggetti digitali devono essere trasferite in conservazione ed eventualmente scartate.

La vita di un archivio si articola in tre fasi: archivio corrente, archivio di deposito e archivio storico.

Per “archivio corrente” s’intende l’archivio che è attualmente in uso ed è in continuo accrescimento; per necessità pratiche, i fascicoli che compongono l’archivio corrente vengono conservati in locali facilmente accessibili o nella stessa stanza
degli impiegati che li utilizzano.

I fascicoli relativi alle pratiche ormai concluse non servono più alle attività quotidiane e si possono quindi spostare in locali di minor facile accesso (cantine, soffitte, magazzini decentrati). In questa fase, gli archivi vengono definiti “archivi di deposito” o “intermedi”: si tratta infatti di una fase intermedia del ciclo di vita degli archivi, tra quella dell’archivio corrente e quella dell’archivio storico.

In questo stadio si conservano documenti che un domani potranno magari essere scartati, ma che per il momento occorre conservare perché possono ancora essere utili (ad esempio per accertamenti fiscali).

Secondo la legislazione italiana, è la seconda fase della vita dell’archivio. Durante il periodo di deposito la documentazione versata  giace per trent’anni[1], vicino al termine dei quali vanno effettuate le operazioni di scarto del materiale che non si intende conservare da parte delle commissioni di sorveglianza e scarto riunite appositamente. Il materiale che non è scartato entra nella cosiddetta fase storica.

[1] Nel D.P.R. 1409/1963 si prevedeva 40 anni, poi confermata nel Dlgs 42/2004, ossia il Codice dei Beni Culturali (art. 41, comma 1). Questo termine è stato modificato con il D.L. n. 83 del 31 maggio 2014 che lo ha appunto abbassato a 30 anni (art. 12, comma 4, lettera a).

Infine, dopo un certo numero di anni – che per gli archivi dello Stato è definito dalla legge in 30 anni – si selezionano i fascicoli che vale la pena di conservare per sempre, e si scartano gli altri.

Si costituisce così l’archivio storico, che ha un interesse prevalentemente storico-culturale, ma che comunque può ancora servire anche per fini pratici. Si pensi, ad esempio, che per risolvere dispute sui confini, bisogna a volte ricorrere a documenti vecchi di secoli.
Durante il loro intero ciclo di vita, gli archivi hanno sia un valore pratico-giuridico, che un valore culturale: nella fase iniziale, il primo è senz’altro prevalente, poi mano a mano si affievolisce, mentre si fa sempre più forte il secondo; la valenza giuridica degli archivi e quindi la loro utilità pratica però in molti casi non scompare, anche se passano molti anni.